Il Dream Team

 

Quella per la Formula Uno è una passione nata quando ero piccola, una passione che è cresciuta in me e con me. E’ così che inizia l’amore per i motori, la curiosità verso un mondo che procede a suon di millesimi di secondo, che fa della precisione e del perfezionismo i suoi punti base, che ricerca affidabilità e prestazioni spingendosi a livelli estremi.

Credo che tra tutti gli sport che hanno a che fare con la cosiddetta meccanica, probabilmente la Formula Uno è quello che nobilita maggiormente questa arte, che la racconta di più; che la mostra e dimostra meglio; quello in cui trova il suo habitat naturale.

 

Quando sono nata erano già molti i piloti straordinariamente bravi: Alain Prost, Ayrton Senna; solo per citarne due. Un’epoca in cui la Formula Uno era molto diversa, molto distante da quella di oggi. C’era una folle ricerca della prestazione ad ogni costo, a scapito, molto spesso, di un’affidabilità precaria.

 

Poi ci fu quel Gran Premio di San Marino, anno 1994, che vide morire Roland Ratzenberger sabato 30 aprile, e Ayrton Senna, domenica 1 maggio. Da quella gara molte cose cambiarono. Si capì finalmente che la vita valeva più di una corsa, che la sicurezza doveva avere la priorità, che quello era davvero uno sport pericoloso in cui si rischiava tutto ogni volta, senza la dovuta tutela. Fu così ricostituito dopo dodici anni il Grand Prix Drivers Association, associazione dei piloti, nella quale poter discutere anche e soprattutto di sicurezza. Venne posto un limite di velocità per la percorrenza della corsia dei box, molti circuiti furono modificati nei punti più pericolosi, i Team cominciarono ad investire un quantitativo maggiore di capitale per migliorare sicurezza e affidabilità.

Rimane, nonostante questo, la tragica constatazione che furono le due morti di Ratzenberger e Senna a spingere chi di dovere verso la ragionevole strada della sicurezza. Come spesso accade, è la tragedia a portare coscienza.

E mi chiedo sempre più spesso perché l’uomo sia tanto ottuso e insensibile da non riuscire mai a prevenire, specialmente lì dove curare poi risulta troppo tardi; tanto stupido da non capire prima, e tanto bravo a versare lacrime di coccodrillo poi.

 

La Formula Uno, questo mondo dorato e non, cambiò. Pagando un prezzo altissimo. Cambiò. Ebbe inizio una nuova era, un’era che avrebbe visto l’affermazione e il definitivo trionfo del più grande pilota che la Formula Uno abbia mai conosciuto: Michael Schumacher.

 

Con lui, la Ferrari, che da anni non vinceva più nulla, ritrovò se stessa, gli stimoli giusti, una squadra affiatata e semplicemente vincente. Trovò nell’uomo Schumacher l’uomo-squadra, e così la Rossa riuscì a perfezionarsi, progredì, diventando la più affidabile, la più veloce; la più bella monoposto in circolazione. La più competitiva in assoluto.

 

Ma non nacque semplicemente una macchina vincente, non ci fu soltanto il miglior pilota esistente alla sua guida. Fu la squadra a vincere. Una squadra unita nel segno di un Cavallino Rampante un po’ bizzarro e imbizzarrito certo, ma simbolo di una compattezza e di un senso del gruppo senza precedenti. Simbolo, quel Cavallino, di un dominio assoluto, simbolo di un orgoglio italiano che insieme alla Ferrari rinacque, che con la Ferrari venne consacrato e legittimato. Il Dream Team era nato.

 

Passarono così i primi anni difficili, fatti di sacrifici e inondati di perchè. Ricerche accurate per ottenere il massimo, perfezionismo depurato da critiche che era troppo facile scagliare, dal momento che questa macchina non vinceva più da troppo tempo. Ma fu in quel periodo che cominciò a prendere forma la Ferrari vincente e affidabile che negli anni successivi avrebbe letteralmente creato il vuoto dietro di sé. Troppo veloce, decisamente inarrivabile.

 

Ma non fu semplice spingersi a livelli tanto alti. Questa macchina e questa squadra nacquero da giorni di riflessione, da sciami di pensieri, da rapide di parole e strapiombi di silenzio. Questa monoposto trovò vita innanzi tutto in un gruppo unito e consapevole di poter fare bene, conobbe la prima luce nella mente di ingegneri e tecnici costretti a fare scelte e a prendere decisioni che li avrebbero portati a dormire poco, alzandosi presto la mattina e andando a letto tardi la sera.

 

I ragazzi del box raccontano così di Schumacher, in uno dei primi test pre-campionato svolti all’Estoril, in Portogallo, nel 1995 alla guida di una 412T:

 

“Avevamo appuntamento in pista per una prova. Noi della squadra ci presentammo alle 8.15, come sempre. Lui era già lì, in tuta, seduto sui gradini del motor home. Ci guardò, sorrise e disse: Se vogliamo cominciare a vincere, bisogna iniziare prima al mattino… Questo fu l’esordio”.

 

Michael Schumacher, Jean Todt, Paolo Martinelli, Ross Brawn, decine di meccanici, centinaia di ore di lavoro. Tutti attenti ed efficienti, tutti bravi in una professione che è innanzi tutto passione. Gente straordinaria se si pensa che il periodo in cui la Ferrari conobbe il suo sviluppo fu quello dei grandi figli d’arte Damon Hill e Jacques Villeneuve. Un periodo costellato da intoppi, assetti mancati, gomme sbagliate, e da errori.

Uno su tutti: Mondiale 1997, Jerez de la Frontera, Gran Premio d’Europa, ultima gara del Mondiale, gara che deciderà il titolo. Michael parte in seconda posizione, nonostante i primi tre piloti sullo schieramento abbiano fatto registrare il medesimo tempo, uguale al millesimo di secondo. La statistica parla chiaro: casi così possono verificarsi una volta su duecentoventitre milioni. Villeneuve parte in pole, è lui che ha fatto registrare il tempo per primo. Ma le cose sembrano ugualmente mettersi bene per la Ferrari, Schumacher infatti alla prima curva è già davanti, e nella classifica mondiale ha 78 punti, uno in più di Jacques. Ma a 21 giri dal termine succede qualcosa. Villeneuve si avvicina alla monoposto italiana, ormai gli è addosso; tenta il sorpasso, Michael lo chiude, i due si scontrano: Schumacher è fuori; Villeneuve arriverà secondo in gara, ma vincerà il Mondiale Piloti.

Dopo i fatti di Jerez, Schumacher finì sotto accusa. Il campione tedesco dichiarò di aver sbagliato, e che in una futura analoga situazione si sarebbe di sicuro comportato diversamente. Ci fu ad ogni modo un processo, che ebbe luogo l’11 novembre a Londra. Fu decretato l’annullamento del secondo posto nel Mondiale Piloti, ma la classifica costruttori non venne toccata. Tutto si risolse, fortunatamente per il Team Ferrari, con tanto clamore ed un’immagine ancora credibile e rispettabile.

Fu questo l’Errore di Schumacher. Un solo errore, in una carriera che da lì in avanti lo avrebbe visto brillare tanto per bravura quanto per correttezza.

 

Fu poi la volta di una sfida infinita, dalle sfumature rosso-argento: quella tra il campione tedesco e Mika Hakkinen. Il Mondiale 1998 andò al finlandese, dopo che, a Spa, Gran Premio del Belgio, Schumacher urtò violentemente la McLaren di Coulthard, che doveva essere doppiata. L’incedente fu brutto, ma fortunatamente i due ne uscirono illesi. Molte discussioni seguirono allo scontro. Lo scozzese avrebbe dovuto lasciare pista libera al tedesco, dal momento che era in testa e si trattava di un doppiaggio. Ma ciò non avvenne per diversi giri, fino al 25°, momento dell’impatto. Ancora una volta molto clamore, stavolta con uno Schumacher incolpevole e nuovamente perdente sul fronte Mondiale.

 

Si va comunque avanti. La squadra Ferrari non molla. Anno 1999. Si arriva a Silverstone, 11 luglio. Michael va fuori pista, urtando a poco più di 100 Km/h il muro di gomme. E’ lì, nella curva Stowe, che finiscono ancora una volta i sogni di gloria del tedesco. Frattura di tibia e perone. Schumacher verrà operato e rimarrà a lungo fuori dall’abitacolo della sua monoposto. Rientrerà a Sepang, dove dovrà fare gioco di squadra a favore del compagno di box Irvine, ora a soli due punti da Hakkinen con due sole gare ancora da disputare. Schumacher è di nuovo in pista dopo oltre tre mesi da Silverstone. Zoppica ancora ma al volante è il campione di sempre: conquista la pole position e in gara fa realmente gioco di squadra. In molti non se lo aspettavano. Ma un campione non è un campione a caso: Michael è al primo posto ma si farà superare dal suo compagno di squadra, in modo da regalargli la vittoria e tenere la McLaren a debita distanza.

Il Mondiale si deciderà quindi in Giappone, con Eddie avanti di quattro punti rispetto ad Hakkinen. Prove disastrose per l’irlandese, Schumacher invece parte in pole, ma tuttavia male, tanto che Mika lo passa e diventa irraggiungibile, andando a conquistare gara e Campionato Piloti.

Ancora una volta non è un uomo in rosso a conquistare il titolo Mondiale, ma il primo passo verso l’Era Ferrari è compiuto: dopo sedici anni il Mondiale Costruttori torna a Maranello. Da qui in poi sarà sempre e solo Ferrari.

 

Il 2000 è l’anno della consacrazione. Sarà la F1 2000 a scendere in pista. Prima gara, Melbourne, Australia: Michael vince, Barrichello, che da quest’anno lo affianca al posto di Irvine, arriva secondo. E’ questo il segnale che tutti stavano aspettando. La Ferrari era tornata.

Un tecnico dichiarerà:

 

“I briefing con Michael sono sempre produttivi, con lui non si rischia di perdere tempo. Sa l’obbiettivo che vuole raggiungere, sa come spiegartelo”.

 

Il tedesco è inarrestabile; altre due vittorie nelle due gare seguenti: in Brasile e a Imola.

Al termine del Gran Premio di San Marino Schumacher dichiarerà:

 

“Ha vinto la squadra migliore”.

 

Michael usa il termine squadra. Ed è un messaggio ben preciso. Insieme si vince, non solo lui, ma lui insieme agli altri. Squadra.

I primi problemi arriveranno al quarto appuntamento stagionale; Silverstone, Inghilterra. La pista si trasformerà in un fiume sotto un’incessante pioggia battente. Alla fine trionferà Coulthard, davanti ad Hakkinen e a Schumacher terzo. E male dirà alla Ferrari anche in Spagna, a Barcellona. Ma al Gran Premio d’Europa, Nürburgring, Schumacher torna sul gradino più alto.

Seguirà però il sempre difficoltoso e ricco di imprevisti Gran Premio di Montecarlo. Nonostante la pole e 55 giri in testa, un problema al braccetto della sospensione posteriore sinistra mette fuori gioco il tedesco, costretto al ritiro. Vincerà Coulthard, ora diretto inseguitore nella classifica Mondiale. Ma il vero pericolo si chiama ancora Mika Hakkinen.

A Montreal torna a splendere il tricolore: doppietta Ferrari. Il Mondiale sembra davvero vicino, con Hakkinen a 24 punti e Coulthard a 22. Ma non è così. Nei tre Gran Premi successivi i due piloti della McLaren riuscirono a recuperare rispettivamente 22 e 20 punti. La Ferrari in quei tre lunghissimi fine-settimana rimase a quota zero. In Francia, in Austria e in Germania Schumacher è costretto al ritiro. Unica nota positiva la prima vittoria di Barrichello sul circuito tedesco. Punti preziosi, perché permettono a Michael di rimanere nonostante tutto in testa al Mondiale. Ma Budapest e Spa videro trionfare il finlandese, che concretizzava così rimonta e sorpasso ai danni del ferrarista. Mancavano ora quattro gare, e sei punti di svantaggio nella classifica piloti.

Seguirà Monza, Gran Premio triste perché vedrà morire un volontario della Cea colpito da una ruota staccatasi dalla Jordan di Frentzen. Michael vincerà quella domenica, uguagliando a quota 41 il numero di vittorie di Ayrton Senna. Michael piangerà quella domenica. Il tedesco di ghiaccio piangerà per la morte del commissario della Cea, Paolo Ghislimberti. Schumacher è un campione, ma è innanzi tutto un uomo. Il mondo intero quel giorno se ne rese conto.

Il Campionato proseguì oltreoceano, nove anni dopo l’ultimo Gran Premio, la Formula Uno tornava in terra americana. Schumacher vincerà anche qui, portandosi in testa alla classifica con otto punti di vantaggio su Hakkinen che a causa della rottura del motore fu costretto a ritirarsi. Ora mancavano due gare; e bastavano due secondi posti per diventare campione del mondo.

E si arriva così a Suzuka, Giappone. Un circuito che storicamente non porta bene alla Ferrari: qui ha perso gli ultimi due Mondiali, i medesimi finiti nel bottino di Hakkinen. Michael conquista la pole, ma in gara è costretto ad inseguire fin dalla prima curva il finlandese, che parte meglio di lui e fa sua la prima posizione. E qui, proprio qui, fu evidente al mondo intero uno dei punti di forza della Scuderia di Maranello: la tattica delle soste ai box. Lì si sarebbe deciso il Mondiale. Schumacher lo sapeva, i suoi uomini anche. A tredici giri dalla fine Michael rientrò per il pit stop, tre giri dopo Mika.

Queste le parole di Ross Brawn in quegli attimi:

 

“Vieni Michael, è un hot stop” (lo chiama letteralmente così Ross Brawn, per indicare quanto si tratti di una sosta delicata).

“Ok Michael, lui sarà lì quando uscirai. Io cercherò di guidarti, di parlarti mentre uscirai dai box…”

“E’ stato un pit abbastanza buono Michael”.

“No, è stato buono Michael”.

“Vai, vai, è stato perfetto Michael. Position one. Position one. Ora ti basta restare in pista…”

 

E Schumacher in pista ci rimase eccome. Semplicemente vinse quel Gran Premio, vinse proprio quel Gran Premio di Suzuka che così tanti problemi aveva creato negli anni precedenti. Vinse il Mondiale Piloti, riportando la Ferrari ai vertici della Formula Uno, scrivendo la Storia, facendo esplodere di gioia migliaia di tifosi in tutto il mondo, senza dubbio quei piccoli grandi uomini, all’incirca seicento, che con lui avevano lavorato, sudato, gioito e pianto. Che con lui, insieme a lui, quella Storia l’avevano riscritta. Era solo l’inizio di un dominio assoluto che avrebbe portato persino delle modifiche ai regolamenti, forse a causa di una Ferrari troppo vincente, così tanto distante da tutti gli altri da rendere le gare noiose per alcuni. Le regole furono riscritte, ma la Ferrari continuò a vincere.

Nell’inverno precedente a quella stagione, Schumacher aveva dichiarato:

 

“Mi piacerebbe diventare il primo campione del mondo del nuovo secolo”.

 

Detto fatto Schumi; la F1 2000, una squadra compatta e affiatata, gente di talento e spinta dalla passione, tifosi sparsi in tutto il mondo e un Paese intero, il nostro, che forse da quel momento più che in ogni altro è diventato anche un po’ il tuo, ti hanno aiutato, sostenuto. E ora gioiscono con te. Campione. Campioni.

 

La lunga serie di successi e di record che Schumacher e la Ferrari avrebbero negli anni successivi fatto segnare, erano solo all’inizio. Stagione 2001, stagione in cui era necessario confermarsi leader, stagione quindi di grandi pressioni, di grandi attese. Bisognava vincere ancora.

Il Gran Premio di esordio fu nuovamente in Australia, il 4 marzo. Ed esattamente come l’anno precedente, Michael conquisterà pole e vittoria, ma questo sarà comunque un Gran Premio triste, perché morirà un commissario a bordo pista, colpito da una ruota staccatasi durante la collisione tra Villeneuve e Ralf Schumacher.

E ci si cominciò davvero a chiedere quali potevano essere le contromisure per salvaguardare non solo la vita dei piloti e dei meccanici, ma anche quella dei commissari e del pubblico stesso, che quel giorno a Melbourne contò nove feriti.

La seconda gara venne disputata in Malesia, e per la Ferrari si trattò di un doppio successo: non solo Schumacher vinse, ma Barrichello arrivò secondo, regalando agli uomini in Rosso la cinquantesima doppietta della storia Ferrari.

A San Paolo, quindici giorni dopo, la Scuderia di Maranello ebbe invece qualche problema. Michael venne superato sia da un giovane e ambizioso Montoya che proprio quell’anno faceva il suo ingresso in Formula Uno, sia dal solito David Coulthard. Schumacher arriverà secondo, ritrovandosi in testa al Mondiale con soli sei punti di vantaggio sullo scozzese dopo appena tre gare disputate.

E a Imola non sarebbe andata meglio: Schumacher fu costretto al ritiro a causa del danneggiamento e della successiva foratura della ruota anteriore sinistra. Barrichello invece, partito dalla sesta posizione, riuscì ad arrivare terzo limitando i danni quantomeno sul fronte Costruttori. Quel giorno la gara fu vinta da Ralf, fratello di Michael. Unica nota positiva per il tedesco, che quello stesso giorno si vide raggiungere ed appaiare in classifica da Coulthard.

Il quinto Gran Premio della stagione andò in onda a Barcellona, dove un imprevisto servì su un piatto d’argento dieci importantissimi punti al numero uno della Ferrari. Infatti Mika Hakkinen, l’eterno corretto rivale di Michael, ruppe il motore all’ultimo giro.

A fine gara Schumacher non esulterà come al suo solito. Andrà piuttosto da Mika, lo abbraccerà confessandogli il dispiacere per un vittoria ottenuta così. A Michael piace vincere in pista, e non superando una macchina ferma. E Hakkinen è stato il suo grande rivale per quattro anni, tra loro c’è stima e rispetto reciproci.

Il sesto Gran Premio sarà un Gran Premio particolare, ricco di emozioni. Quello austriaco è uno dei pochissimi circuiti su cui Schumacher non ha ancora vinto. La pole è sua, ma in gara il tedesco parte male. E’ subito costretto ad inseguire Ralf e Montoya. Il giovane Schumacher però si ritirerà al 10° giro, e Michael riuscirà a riprendere il colombiano, cercando ripetutamente di superarlo. Alla fine entrambe le macchine finiranno nella sabbia: Montoya infatti ritardò così tanto la frenata per non farsi passare, da trascinare fuori pista anche la monoposto Rossa. Schumacher riuscì comunque a ripartire dalla sesta posizione. Nel frattempo Barrichello aveva raggiunto la testa della corsa. Col passare dei giri le cose cambiarono ancora: Coulthard riuscì a passare Rubens ai box, e Michael a risalire fino in terza posizione. Ma David è l’avversario più temibile, e sta andando a vincere il Gran Premio. Così dai box arriva l’ordine di far passare Schumi, di invertire le posizioni con Barrichello, secondo in quel momento davanti al tedesco.

 

“Rubens, lascia passare Michael”.

“Rubens, lascia passare Michael, fallo per il campionato”.

“Lascialo passare, per favore…”

 

Il brasiliano, chiaramente controvoglia, ubbidì agli ordini di scuderia, ma lo fece solo a pochi metri dal traguardo, tanto da far risaltare il tutto platealmente. Dopo l’accaduto, in molti pensarono ad una definitiva rottura dei rapporti fra i due piloti. Ma non fu così. La forza della Ferrari è sempre stata anche questa: tutti per uno e uno per tutti. Una grande famiglia.

A Montecarlo Michael tornerà a vincere, mentre quindici giorni dopo, in Canada, otterrà il secondo posto dietro al fratello Ralf e davanti al rivale di sempre Mika. Ora i punti di vantaggio su Coulthard erano 18, e aumenteranno ancora, diventando 24 al Gran Premio d’Europa, durante il quale i due fratelli tedeschi si daranno battaglia, una battaglia che alla fine vedrà vincere Michael. E in Francia le cose andranno persino meglio: i punti di vantaggio diventeranno 31, Schumacher vincerà la gara, la cinquantesima della sua carriera, grazie ad una strategia vincente ai box, che gli permetterà di superare il fratello, secondo alla fine della gara. A completare l’ottimo week-end il terzo posto di Barrichello.

A Silverstone Michael non vincerà, arriverà terzo alle spalle di Hakkinen e del giovane ed esuberante Montoya. Ma i punti di vantaggio in prospettiva Mondiale salgono ancora, ora sono 37, con Coulthard ancora una volta fuori dai giochi, protagonista di un incidente con Trulli alla prima curva. A Monza e in Germania Schumacher sarà costretto al ritiro per problemi tecnici che lo vedranno coinvolto in due pericolosi incidenti, fortunatamente senza conseguenze.

Ma la situazione era comunque rimasta invariata, anzi, si faceva ancora più favorevole: 37 punti di vantaggio e sole cinque gare al termine. E il giorno perfetto sarà quello del Gran Premio d’Ungheria: pole e vittoria per Schumi, seconda posizione per Barrichello. In un colpo solo Mondiale Piloti e Mondiale Costruttori, doppietta Ferrari, cinquantunesima vittoria per il tedesco, quarto mondiale, il secondo consecutivo con la Scuderia di Maranello. Schumacher non riesce a trattenere la gioia; piange, salta. Il suo inconfondibile salto sul podio, il suo, quello che lo ha sempre contraddistinto. E che quel giorno, con ancora quattro Gran Premi da disputare ed il titolo già in tasca, sembrò un po’ più alto del solito. L’uomo dei record, gli fecero notare tutti. Lui rispose, la squadra dei record. Disse:

 

“Qui c’è un calore, un’umanità che in altri posti non ho trovato. Dopo la mia famiglia, sono loro le persone più importanti della mia vita. Li amo tutti. Ho cercato di gridarglielo via radio, dopo la gara.”

 

Negli ultimi quattro Gran Premi rimanenti Schumacher vincerà ancora in Belgio e in Giappone, portando a nove il numero della gare vinte durante la stagione, e a 123 i punti in classifica. Una stagione da sogno. Un sogno diventato realtà. E il meglio doveva ancora arrivare.

 

La leggenda Ferrari è solo all’inizio. Un’altra stagione, quella 2002. Possibile vincere meglio della stagione precedente? Possibile fare di più? Possibile.

La Ferrari raggiungerà il culmine del suo dominio, un dominio assoluto. Su 17 Gran Premi ne vincerà 15, 11 soltanto Schumacher. Il tedesco diventerà, piangendo di felicità per tutto l’ultimo giro del Gran premio di Francia, campione del mondo con 6 gare d’anticipo, finendo la stagione con un bottino di 221 punti, ovvero l’esatta somma di tutti i punti degli avversari messi insieme. Michael quell’anno andò sempre sul podio, così come la Rossa, sempre sul podio dal Gran Premio della Malesia in poi, anno 1999.

Fu una stagione strepitosa, nella quale i colpi di scena non mancarono. A Zeltweg, a Barrichello venne chiesto di farsi passare da Schumacher. Il brasiliano rispettò gli ordini di scuderia, frenando quasi sulla linea d’arrivo. Con il senno di poi, visto lo strapotere Ferrari, non ce ne sarebbe stato bisogno. Michael quel giorno lasciò simbolicamente il gradino più alto del podio e il trofeo del primo classificato a Rubens, il tedesco era infatti perfettamente consapevole di essere arrivato lui in seconda posizione, nonostante l’ordine d’arrivo ufficiale.

Più tardi, ad Indianapolis, le due Ferrari arriveranno sul traguardo appaiate, Michael frenerà negli ultimi metri, lasciando vincere Rubens. Favore ricambiato, segno di gratitudine e di stima. Reciproca. Barrichello otterrà così il secondo posto nel Mondiale Piloti. E si chiuderà una stagione fantastica che vedrà la Ferrari esercitare il più lungo dominio nella Storia della Formula Uno, e Michael Schumacher affermarsi come il più grande pilota di tutti i tempi.

 

Il 2003 sarà un anno meno facile, ma ugualmente vincente. Fu ancora una volta il Gran Premio del Giappone lo scenario dell’ultimo atto di un’annata che avrebbe ancora una volta visto vincere gli uomini in Rosso. In pole c’era Barrichello, con il diretto rivale di Michael, Raikkonen, in ottava posizione. Schumacher invece partiva dalla quattordicesima.

Al 6° giro un incidente con Salo, l’alettone anteriore danneggiato: subito ai box e rientro in pista in ventesima posizione. Michael è nervoso, tanto che comincia a parlare senza sosta con gli uomini al box, chiedendo informazioni sulle posizioni degli altri. Ross Brawn, uomo di motori, uomo esperto, che ben conosce il campione tedesco, interviene cercando di ristabilire calma e concentrazione. Dice a Michael:

 

“Michael, stai zitto e guida”

 

Parole che in certi momenti possono sembrare brutali, ma che ti aiutano, ti accompagnano, ti guidano verso un trionfo che è ancora una volta di squadra.

Quello fu il Gran Premio in cui La Ferrari vinse Mondiale Piloti e Mondiale Costruttori. Barrichello vinse la gara, tenendo dietro Raikkonen e permettendo a Schumacher di vincere il suo sesto mondiale, nonostante l’ottavo posto in gara. Un punto, un piccolo preziosissimo punto che alimentò la Leggenda. Ancora Campioni.

 

La professionalità di Schumacher fu ancora una volta determinante. Il suo motorista, Mattia Binotto, racconta:

 

“La sua dedizione non è più una sorpresa per noi. C’è stato una anno in cui due giorni dopo aver vinto il Mondiale Piloti, lo trovammo alle 8.00 già in pista al Mugello, per alcuni test programmati da tempo. Chiunque si sarebbe fatto sostituire da un collaudatore, Michael no. Era lì in pista come se il Mondiale fosse ancora in gioco. Tutto questo serve a  fare squadra, a dare ancora più motivazioni a chi lavora con lui”.

 

Già, la squadra. E’ una squadra che segue Schumacher, che vuole bene a Schumacher, e che il tedesco considera la sua seconda famiglia. E rimane indelebile nella memoria quel sesto giro dell’ultimo Gran Premio, in Giappone, quando Michael rientrò ai box per sostituire l’alettone anteriore danneggiato in seguito allo scontro con Salo. Massimo Trebbi, addetto a sollevare la monoposto con il cavalletto piazzandolo proprio sotto l’ala anteriore, si rese immediatamente conto che i sostegni necessari per l’operazione erano saltati nel tamponamento. E così non ci pensò su due volte: si piegò sul muso della F2003-GA e lo sollevò, lo tenne su, subito aiutato da altri quattro meccanici. Questa mossa permise alla Ferrari numero uno di essere riparata, di ripartire, di finire la gara, di vincere il Mondiale.

Questo episodio è il simbolo di quella compattezza e di quel senso del gruppo che spinsero la Scuderia di Maranello a livelli inarrivabili per chiunque altro. La forza stava tutta lì. In un gruppo di circa seicento uomini. Tutti ugualmente importanti.

 

Il 2004 sarà l’anno della consacrazione definitiva. Un anno in cui molti si aspettavano un calo da parte della Scuderia di Maranello. E anche da parte di un pilota ormai vincitore di sei titoli mondiali, e quindi, forse, già sufficientemente appagato. Ma si sbagliavano.

La Ferrari vinse il suo sesto Mondiale Costruttori consecutivo, Schumacher conquistò il suo settimo titolo mondiale, il quinto consecutivo, con quattro Gran Premi ancora da disputare.

E’ l’anno in cui non c’è competizione. La Rossa corre sostanzialmente da sola, è l’anno dei record, di nuovi record che vanno a perfezionare quelli già ottenuti nelle stagioni precedenti. Un anno in cui il trionfo sarà assoluto, con ben otto doppiette e oltre ottanta vittorie in carriera per il fuoriclasse tedesco.

Jean Todt dice di lui:

 

“Professionalmente parlando ciò che mi impressiona di più è la sua fame di vittorie; è unica. Lui è già nella leggenda da molto tempo, però non ci pensa, resta sempre concentrato sulle gare, su quello che fa”.

 

Questo è Michael Schumacher. E’ questo ed è molto altro. Michael è un campione, il più grande campione di Formula Uno di tutti i tempi. Da quando ha lasciato le corse la sua mancanza si sente moltissimo. Tanto che è forte la sensazione, quelle rare volte che lo si vede ancora all’interno dell’abitacolo di una Ferrari per qualche test, che quella macchina sia ancora sua, sua soltanto. E che gli altri l’abbiano solo in prestito.

E accanto al suo immenso talento mi piace sempre ricordare il suo lato umano e generoso, quello che tiene nascosto, quello che non mostra alle telecamere. La dolcezza e la solidarietà di un uomo, di uomo come tutti gli altri. In molti forse non sanno che Schumacher si è sempre dato molto da fare per chi è meno fortunato. Donazioni, partecipazioni, telefonate, visite. E chi lo ha sempre criticato per non aver mostrato questo suo lato, non ha capito nulla. Perché queste sono cose che non si mettono sotto ai riflettori, che non si sbandierano al mondo intero. Sono gesti che nascono nel cuore, e che lì devono rimanere gelosamente custoditi.

 

Non rimane che un semplice ma grande e sentito grazie a questa Scuderia, alla Ferrari, ai suoi uomini; escluso nessuno. Grazie per le vittorie sudate e i trionfi schiaccianti. Grazie per lo spirito di squadra, per quel senso dell’altro e del gruppo che ha dato una lezione di professionalità al mondo intero, facendoci sentire orgogliosi di essere italiani. Grazie all’uomo-simbolo di questa Squadra, a Michael Schumacher, per la dedizione e la serietà con cui ha lavorato in tutti questi anni. Grazie perchè la passione, mia personale, per questo sport, è cresciuta insieme a voi. Voi che siete e rimarrete sempre il Dream Team.

 

{Per le dichiarazioni dei diretti protagonisti (frasi virgolettate e in corsivo): Formula Ferrari, Boroli Editore}

1 Responses to “Il Dream Team”

  1. che altro aggiungere?? mi pare che tu abbia riassunto benissimo la splendida favola Ferrari… nn ci sono parole per descrivere le emozioni che mi hanno regalato in qst anni! seguivo la formula 1 che avevo solo 3 anni… e il mio idolo era in Benetton… e già si vedeva la stoffa del campione… Poi gli anni in rosso… con quel cavallino rampante sempre davanti ad emozionarci, a regalarci vittorie su vittorie, lacrime, sorrisi, grida di gioia… Dream team: più che giusto! Quanti sogni in rosso che abbiamo fatto noi italiani!!
    Se penso a quando Micheal ha avuto l’incidente a Silverstone mi vengono ancora i brividi… nn vederlo uscire dalla monoposto distrutta… nn volgio neanche più pensarci….
    Quante lacrime hanno rigato il mio viso dopo ogni singola, emozionante vittoria di gare e mondiali!!
    Quanti ricordi mi accompagneranno negli anni a venire!!
    Come per te… la mia passione per la meccanica e per tutto ciò che riguarda i motori me l’hanno trasmessa loro… e nn ti nascondo che il mio sogno più grande in assoluto è quello di entrare a maranello come ingengere… credo ke in fondo sia un pò il ogno di tutti gli ingegneri!!!
    Non sono un team semplice: SONO UNA FAMIGLIA!! Una splendida, unica, fantastica famiglia…
    Dobbiamo davvero dirgli “GRAZIE” per tutto quanto! Per le vittorie, per le emozioni… E dobbiamo ringraziare il mitico, unico e inimitabile Schumacher per aver segnato la storia della formula 1 e per aver lasciato un ricordo indelebile nelle nostre vite…
    GRAZIE DREAM TEAM!!!

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